Di Dale Zaccaria
Miniere, estrattivismo, dighe, centrali idroelettriche, terreni presi con forza, così il capitalismo violenta le donne indigene e sud americane.
Si parla molto di violenza sulle donne in questi ultimi tempi, dove i movimenti femministi si stanno facendo sentire a livello globale. Ma nonostante gli scioperi planetari, e le tante iniziative, i femminicidi non si arrestano, allora sarebbe da chiedersi se la battaglia non vada indirizzata a livello culturale, partendo dalla lingua, dall’utilizzo del linguaggio, dalle strutture educative, sociali, formative, dalla famiglia, da tutti gli spazi che non sono le manifestazioni in strada e nelle piazze. Sarebbe anche da approfondire il contesto economico-politico di questo secolo, neo-liberale e capitalistico, e quanto questo attui modalità violente sul femminile nel contesto lavorativo e nei territori. Quanto i prodotti di noi consumatori consumati, citando Carmelo bene, ci rendano partecipi in maniera inconsapevole di atti di forza compiuti in paesi lontani, dove le prime vittime sono proprio le donne. Sapere che abiti che indossiamo come quelli Benetton vengono prodotti attraverso le repressioni sul popolo indigeno Mapuche in Cile e in Argentina. Sapere che la nostra luce è sporca di quel carbone importato nel nord della Colombia dove una popolazione ancestrale di linea matriarcale i Wayuu resiste alle forzature del capitale, e dove le leader donne come Jacqueline Romero sono sotto continua pressione e minaccia.
MINIERE, AMBIENTE E DONNE – TERRIRORI
Sono quindi le donne sud americane, i loro corpi e territori, vittime di una violenza di sistema. Del sistema patriarcale, capitalistico che ha il volto non dell’uomo, del maschio, ma delle banche, degli istituti finanziari e delle multinazionali. Quest’ultime descritte come soggetti psicopatici nel documentario The Corporation di Mark Achbar e Jennifer Abbott.
Molte le miniere sparse in tutto il continente latino americano per estrarre materie prime: petrolio, gas, oro, argento, diamanti, litio, rame, nichel, boro. Il Perù è il primo paese invaso. Si contano 39 miniere. Segue il Cile con 37 miniere, l’Argentina 27, il Brasile 20, la Colombia 14.
La Bolivia è il maggiore produttore di litio. Copre il 70% del fabbisogno mondiale. L’estrazione e la lavorazione di questa materia che è presente nelle batterie dei nostri cellulari, sta arrecando grandi danni all’ambiente e contaminando i territori.
Sono le donne quelle che pagano il prezzo più alto in questo sfruttamento e saccheggio delle loro terre. Leader sociali, ambientali che vengono minacciate e uccise. Danni alla salute per le madri incinte, causati dall’acqua contaminata dalle miniere, dall’esalazioni di elementi tossici. La povertà e la disuguaglianza sociale che le multinazionali creano, dove molte donne vengono anche costrette alla prostituzione, al consumo eccessivo di alcool e di droghe.
LA MEMORIA DELLE DONNE
Vogliamo ricordare la giovane Macarena Valdes del popolo Mapuche in Cile uccisa per difendere l’ambiente. L’hanno trovata impiccata un pomeriggio d’agosto. Macarena lottava contro l’ impresa RP Global che voleva installare dei tralicci ad alta tensione nel terreno dove viveva.
La guida spirituale Maci Francisca Linconao sempre del popolo Mapuche che è tenuta in carcere ingiustamente, attraverso un montaggio-macchinazione che la rende colpevole.
Ricordiamo le tante leader indigene sociali e di marcha patriotica uccise in Colombia. L’afro-colombiana Emilsen Manyoma o la leader Milena Quiroz detenuta arbitrariamente.
Ricordiamo le donne e i bambini Wayuu nella Guajira insieme alle altre 80 popolazioni indigene a rischio di estinzione a causa delle miniere.
Le donne e compagne che sempre in Colombia nel dipartimento di Tolima nelle cittadine di Cajamarca, Quindio, Ibague, stanno resistendo alla costruzione della grande miniera d’oro a cielo aperto della multinazionale sud-africana Anglo Gold Ashanti. Già accusata di violazioni dei diritti umani in Congo e in Guinea.
Poi le popolazioni ancestrali brasiliane come i Guarani-Kaiowa che da anni subiscono soprusi e violazioni. L’attivista indigena Daiara Tukano impegnata in prima persona nella difesa di donne e territorio.
L’attivista Milagro Sala detenuta argentina, vicina ai popoli originari, che ha fondato l’organizzazione Tupac Amaru , combattendo per i poveri e i contadini.
Infine le oltre 40 bambine del Guatemala uccise da un femminicidio di Stato lo scorso 8 Marzo. Ne abbiamo nominate solo alcune, ma vogliamo evocarle tutte.
LA RETE DELLE DONNE LATINO AMERICANE
Per concludere si segnala il progetto in rete delle donne latino americane con una mappa dei territori in cui è presente l’attività estrattivistica, sono donne che lottano e resistono che difendono i diritti sociali e ambientali, così affermano: “ Costruiamo la nostra identità vincolando la nostra lotta di donne impegnate nella difesa dell’ambiente. Creiamo spazi di dibattito, scambio e denuncia, di ricerca a livello nazionale e internazionale. Avviamo azioni che salvaguardino l’integrità fisica di donne che si trovano a rischio per la loro esposizione politica nella battaglia contro le imprese minerarie e quindi potenzialmente colpibili e vulnerabili. Documentiamo e informiamo sugli impatti ambientali, sociali e culturali che le miniere generano in diversi paesi latino americani. E stiamo costruendo una banca dati con i casi emblematici della resistenza delle donne latine.”
http://ejatlas.org/featured/mujeres
http://www.redlatinoamericanademujeres.org/